Comune di Cutro, giovedì scorso. Hanno tenuto il Consiglio dei Ministri nella località del naufragio ed hanno inaugurato una targa, su cui sta scritto : « L’Italia onora la memoria delle vittime del naufragio del 26 febbraio 2023, si unisce al dolore delle loro famiglie e dei loro cari. Il governo rinnova il suo massimo impegno per contrastare la tratta di esseri umani, per tutelare la dignità delle persone e per salvare vite umane».

Poi, nessuno di quello stesso Consiglio si è recato a rendere omaggio alle bare. Come dire : l’abbiamo fatto scrivere sul marmo, ora lasciateci in pace. Ma la memoria non si coltiva con il marmo, bensì con atti di presenza e di dialettica che aiutino le famiglie delle vittime a ritrovare la dignità lesa, e la comunità tutta a non dimenticare.

Hanno detto che se ci va il presidente della Repubblica, lo fa a nome di tutti. Ma davanti a Dio, un uomo solo non risponde dell’umanità o della disumanità di altri. Sempreché agli altri interessi rispondere dei propri atti davanti a Dio, il cui nome viene brandito come strumento quando serve, e viene occultato quando non serve. Gli angeli, però, non dimenticano, sono pura visione oltre i confini di spazio e tempo. Stupido è pensare di poter stendere dei veli sulle miserie umane.

Quella targa riporta anche alcune parole di un ministro della Chiesa, nella fattispecie Papa Francesco : « I viaggi della speranza non si trasformino mai più in viaggi della morte ! ». Perché quelle e non altre ? Quei viaggiatori continueranno a scappare da Paesi in guerra o senza diritti. E allora dove sta la « speranza » di cui parla il Papa, se per arrivare in un luogo più sicuro devono mettere a rischio la propria vita affrontando spostamenti pieni di insidie? Sulla targa, sarebbe stato meglio se avessero inciso altre parole, sempre di Francesco, come ad esempio quelle che aveva proferito durante la Giornata del Migrante e del Rifugiato: « Rinnoviamo l’impegno per edificare il futuro secondo il disegno di Dio, futuro in cui ogni persona trovi il suo posto e sia rispettata, in cui i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta possano vivere in pace con dignità, perché il Regno di Dio si realizza con loro, senza esclusi. È anche grazie a questi fratelli e sorelle che le comunità possono crescere a livello sociale, economico, culturale, spirituale, e la condivisione di diverse tradizioni arricchisce il popolo di Dio. (…) I migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati »[1].

Dunque, ben venga dare la caccia a « scafisti » e agenti della tratta, come è stato deciso al Consiglio dei Ministri, ma se l’obiettivo fosse quello di rendere ancora più difficile l’arrivo di queste persone disperate in paesi più sicuri, saremmo di fronte a un atto altrettanto cinico e disumano. La storia del mondo racconta che un bisogno – quando quel bisogno non è riconosciuto dalla Legge ed è dichiarato illegale – trova altri canali per essere soddisfatto. Perché i bisogni umani sono più forti della Legge, vengono prima della Legge ; anzi, siamo di fronte a un paradosso quando si tratta del bisogno di spostarsi per vivere degnamente, perché la Legge non intacca le condizioni di discriminazione, ingiustizia o non-solidarietà ; le mantiene.

Se uno scappa da situazioni di difficoltà per sperare in una vita migliore, e se non si vuole che la tratta ci guadagni sopra, si devono fare due cose :

(a) Combattere ingiustizie e discriminazioni in quei Paesi, ma per davvero. Collaborare con regimi non democratici, corrotti o oppressivi in cambio di qualche servigio, di riserve di gas in più o di meno migranti in arrivo, non significa combattere le ingiustizie e le discriminazioni. All’opposto, così facendo, si rischia di produrre tante vittime quante quelle prodotte dalla tratta. Con una sola differenza : che muoiono lontano dai nostri confini e lontano dai riflettori dei nostri mezzi di informazione.

(b) Legalizzare e facilitare l’arrivo di queste persone attraverso delle normali procedure amministrative.

Secondo la campagna « For a human-centred migration policy », condotta nel 2022 dalle organizzazioni non-governative FMAS Marocco e Associazione Amel Libano[2], con il sostegno del programma UE Med Dialogue, la migrazione è una componente essenziale della storia e della cultura del Mediterraneo. Tuttavia, i canali di arrivo legali e sicuri rimangono limitati ad azioni riguardanti il personale lavorativo altamente qualificato, ai programmi universitari ed ai ricongiungimenti familiari[3]. Anche i percorsi ufficiali di protezione internazionale sono limitati e soggetti alla discrezione degli Stati membri. In assenza di canali legali, quelli irregolari rimangono, per molti, l’unica alternativa possibile. Vi è quindi la necessità di estendere i canali legali di accesso all’Unione europea. Offrire maggiori opportunità di mobilità del lavoro porterebbe un triplo vantaggio: per l’UE, per i Paesi terzi e per le persone in mobilità. Tali opportunità colmarebbero le carenze di manodopera in settori chiave delle economie europee. Darebbero alle persone in movimento, e in particolare ai giovani del Mediterraneo, accesso al mondo lavorativo e nuove opportunità di sviluppo di competenze professionali. E faciliterebbero la creazione di capitale umano e di dinamiche di sviluppo regionale, riducendo così il ruolo giocato dalle mafie della tratta.

In un contesto di crescente incertezza economica ed instabilità geopolitica a livello internazionale, l’altra lezione da trarre è che l’UE dovrebbe fare proprio un approccio inclusivo ed equilibrato basato sulla solidarietà, sui diritti umani e sullo sviluppo di partenariati sostenibili dal punto di vista sociale e culturale con i Paesi da cui partono gli scafi dei migranti, che includano non solo il sostegno umanitario e una migliore condivisione delle risorse e delle responsabilità, ma anche lo sviluppo di percorsi di protezione internazionale come il reinsediamento, i corridoi umanitari e programmi equivalenti. Invece di costringere i Paesi della sponda sud ad assumere il ruolo di guardiani delle frontiere europee, dovremmo raddoppiare gli sforzi per gestire meglio la questione migratoria nei Paesi appunto da cui partono i « viaggi della speranza », come li chiama il Papa, al di là del sostegno umanitario, rafforzando le politiche di protezione sociale e di buon governo. A detta di molti esperti, condizionare la migrazione legale agli obiettivi di sicurezza a breve termine dell’UE aggraverà i problemi, anziché risolverli.

Non facciamoci illusioni. Non è dando la caccia agli « scafisti » per mare e per terra che vi saranno meno tragedie. Le tragedie possono aver luogo ancor prima di imbarcarsi. Basta vedere cosa è successo nelle  ultime settimane in Tunisia, dove le dichiarazioni contro i migranti subsahariani del presidente Kaïs Saïed hanno scatenato una vergognosa caccia all’uomo, al punto che molti Paesi africani hanno dovuto organizzare dei voli di rimpatrio per evitare ulteriori linciaggi, ed altri hanno lasciato il Paese con le proprie risorse, pur avendo un permesso di soggiorno. Molti di questi migranti, tra l’altro, sono donne che lavorano in Tunisia in nero, perché i loro datori di lavoro non si sono voluti assumere i costi della regolarizzazione.

Le migrazioni, quando le popolazioni vivono delle ingiustizie o in condizioni di ristrettezza, sono processi naturali e dunque inevitabili. E a fronte dell’insufficienza di canali legali, i canali irregolari sono l’unica via per coloro che intendono raggiungere l’Europa, o per fuggire regimi dispotici, o per cercare un lavoro dignitoso. La mancanza di canali legali è una delle principali cause della migrazione irregolare : questo dato è supportato da ricerche e, più recentemente, dalla Valutazione d’impatto del New Deal effettuata dallo stesso Parlamento europeo [4].

È vero che la migrazione irregolare avviene su scala molto più ridotta rispetto alla migrazione regolare. Tuttavia, la sua rilevanza risiede nelle vite perse in viaggi pericolosi e nell’estrema vulnerabilità delle persone durante il viaggio attraverso i Paesi di transito e all’arrivo. La campagna « For a human-centred migration policy » sostiene che i partenariati con i Paesi terzi per ridurre gli arrivi irregolari e trattenere in quei Paesi coloro che non sono in grado di raggiungere regolarmente l’Europa – compresi i richiedenti asilo – dovrebbero essere rivisti. Si tratta infatti di partenariati per la « sicurezza », che contribuiscono a gravi violazioni dei diritti umani. Ciò si manifesta ad esempio nel trattamento degradante e nella tortura a cui migranti e richiedenti asilo sono esposti nei centri di detenzione in cui gli stessi sono rimpatriati con la forza, grazie alla cooperazione tra alcuni Stati membri, come avviene in Libia.

È essenziale che noi europei superiamo la percezione della migrazione come una minaccia e la consideriamo come una vera opportunità. Se alcuni movimenti politici alimentano la narrazione della minaccia, e ne incassano i proventi agli appuntamenti elettorali, non ci dobbiamo sorprendere più di tanto: tutto questo fa parte del gioco del potere.

Dobbiamo invece terribilmente spaventarci della mancanza di umanità di molte persone, anche tra coloro che rappresentano lo Stato. La cattiveria e l’indifferenza nei confronti dei sofferenti, stranieri o non stranieri, è la migliore arma per demolire i valori fondanti della nostra Repubblica antifascista. Non facciamoci abbagliare dai riflessi di una targa in marmo lucido. Non c’è cosa peggiore di un atto per onorare le vittime di una tragedia quando questo atto è compiuto da chi queste vittime non le vuole vedere, vive o morte che esse siano.

12 marzo 2023.


[1] Fonte : TGR Basilicata, 25 settembre 2022.

[2] Due organizzazioni tra le più attive nelle attività di sensibilizzazione e ricerca sui fenomeni migratori nel Mediterraneo.

[3] Vedi: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/fr/ip_22_2654 e https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2022%3A657%3AFIN&qid=1651223944578

[4] Legal migration policy and law, European added value assessment PE 694.211 – settembre 2021 (pag. 11).

Una risposta a "Della targa e della speranza di attraversare il mare"

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